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Questa settimana non sono andato in montagna, come abitualmente faccio ogni fine settimana, e se il lupo perde il pelo ma non il vizio, io non perderò nemmeno questa volta l’occasione di parlarvi di montagna. Chi mi conosce sà che il mio approccio alla montagna è stato tardivo; dopo una vita vissuta fino a quel punto all’ insegna del solo “senso del dovere”, senza concedermi mai distrazioni, ho sentito l’esigenza di cercare qual’era il gusto vero della vita. Un gusto che io non ho trovato, nell’amaro Averna, come vorrebbe far credere la pubblicità, bensì nella Montagna. Sin dal primo approccio ho subito intuito che la montagna poteva essere vista come una metafora della vita, faticosa, piene di insidie, oscura, che restituisce, a volte, grandi soddisfazioni anche se di breve durata, così come spesso succede nella vita di tutti i giorni. La felicità di aver raggiunto la cima è effimera, dura un attimo, il tempo di riprendere fiato e subito viene sostituita dalle preoccupazioni della discesa. Nella vita gli attimi di gioia durano quanto il battito delle ali di una farfalla, nella vita niente è per
sempre. Guardate il quadro sopra riprodotto. C’è un uomo solo, affacciato su un mare di nebbia, in piedi su una roccia, guarda lontano, in compagnia di stesso. Questa è la Montagna, questa è la Vita , io sono il Viandante.
(Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia)